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giovedì 23 novembre 2023

News - La giusta causa di recesso del preponente

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Vediamo da vicino come funziona e alcuni casi che inquadrano meglio la materia, nonché il tema del diritto di esclusiva

 

Con il mandato di agenzia una parte, detta “preponente”, affida all’altra detta “agente” l’incarico, con carattere di stabilità, di promuovere, nell’ambito di una zona territoriale assegnatagli, la stipulazione di contratti con i terzi (art. 1742 c.c.).

Possono sorgere numerose problematiche inerenti a questo tipo di rapporto. Alcune di esse possono comportare l’interruzione immediata del contratto per inadempimento di una delle parti.

Vincolo fiduciario tra le parti

La giusta causa di recesso dal contratto di agenzia è definita dall’art. 1751, comma 2 c.c. come “inadempienza imputabile all’agente, la quale, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto”.

La formulazione della norma citata ricorda la nozione di giusta causa di recesso ex art. 2119 c.c., relativa al rapporto di lavoro subordinato. Infatti, come spesso evidenziato dalla giurisprudenza, tale norma può trovare applicazione in via analogica anche al rapporto di agenzia.

Rispetto al rapporto di lavoro subordinato, tuttavia, il vincolo fiduciario assume maggiore intensità , e ciò per la maggiore autonomia di gestione della prestazione resa dall’agente per luoghi, tempo, modalità e mezzi in funzione del conseguimento delle finalità aziendali. Ne consegue che nel rapporto di agenzia basta un fatto di minore gravità a legittimare un recesso per inadempimento dell’agente (Cass. 6915/2021).

Ai fini della legittimità del recesso del preponente è quindi sufficiente un fatto di minore consistenza, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivata (Cass. 23331/2018).

Casistica

Di seguito si riportano alcuni casi pratici molto interessanti dai quali si evince la particolare intensità del vincolo fiduciario che lega l’agente al preponente.

In una sentenza è stata confermata la legittimità della risoluzione del contratto di agenzia da parte della preponente per il mancato raggiungimento degli obiettivi di vendita contenuti nel mandato, non ha rilevato né il comportamento dell’azienda, che abbia tollerato il mancato raggiungimento degli obiettivi per altri agenti, né la difficoltà di raggiungimento degli obiettivi, verificata solo dopo la cessazione del rapporto e mai contestata nel corso dello stesso (Cass. 10026/2021).

È stato, poi, ritenuto legittimo, per violazione degli obblighi di diligenza e fedeltà di cui all’art. 1746 c.c., il recesso per giusta causa dal contratto di agenzia esercitato dalla società preponente nei confronti del proprio agente che, in costanza di rapporto, contatti altri collaboratori del preponente nel tentativo di indurli a intraprendere una nuova attività imprenditoriale nello stesso settore merceologico, a prescindere dal fatto che lo storno non si sia poi in concreto realizzato. Infatti, l’art. 1746 c.c. prescrive che, nell’esecuzione dell’incarico, l’agente deve tutelare gli interessi del preponente e agire con lealtà e buona fede; la violazione di tale dovere, indipendentemente dall’esito positivo o meno dell’iniziativa, costituisce un comportamento in contrasto con i doveri essenziali dell’agente e integra un’ipotesi di giusta causa di recesso (Cass. 6915/2021).

Sussiste la giusta causa di recesso anche nel caso in cui l’agente utilizzi a scopi personali il conto corrente intestato al consorzio costituito tra i promotori, a nulla rilevando che ogni spesa effettuata con il denaro del consorzio sia stata tempestivamente rifusa con bonifici di pari importo. Tale condotta rivela l’inaffidabilità sull’esattezza dei futuri adempimenti, con irrimediabile lesione del vincolo fiduciario, tenuto conto anche del ruolo rivestito dall’agente che svolga funzioni manageriali comportanti controllo e supervisione sull’intera rete di agenti: per lo svolgimento di tali funzioni la fiducia assume rilevanza ancora più stringente e un comportamento come quello descritto ha, pertanto, un notevole disvalore ambientale (Cass. 9/2021).

Interessante è il caso dell’agente assicurativo che abbia commesso gravissime inadempienze violando gli obblighi contrattuali della registrazione immediata di ogni operazione di incasso effettuato in nome e per conto della Compagnia e appropriandosi in tal modo di ingenti somme. Ad aggravare tale condotta, di per sé già idonea a legittimare il recesso, si erano aggiunti l’utilizzo, al di fuori dei locali dell’agenzia, di collaboratori non iscritti al registro Unico Intermediari Assicurativi e Riassicurativi e plurime inosservanze della normativa antiriciclaggio. Si è trattato, evidentemente, di una condotta di gravità tale da compromettere definitivamente il rapporto fiduciario che deve sussistere tra mandante e agente di assicurazioni. Tale gravità non è stata scalfita, secondo il giudice, neanche dalla circostanza che l’amministratore unico (marito dell’autrice delle condotte incriminate) abbia provveduto tempestivamente – a seguito del verbale ispettivo – al versamento di quanto dovuto all’agenzia (Tribunale di Torino, sez. IV Civile, Sentenza del 03/10/2017, n. 4589).

Dai casi esaminati, dunque, si evince che:

  1. nel contratto di agenzia il rapporto di fiducia assume maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato, con la conseguenza che per la legittimità del recesso è sufficiente un fatto di minore consistenza rispetto al tipo di comportamento normalmente richiesto per il licenziamento per giusta causa;
  2. ai fini della sussistenza della giusta causa di recesso dal contratto di agenzia sono irrilevanti il danno patrimoniale concreto subito dal preponente e il corrispondente vantaggio o guadagno dell’agente: occorre accertare se le mancanze contestate siano, nel caso specifico, suscettibili di ledere in modo irreparabile il vincolo fiduciario tra le parti del rapporto;
  3. si deve tenere conto anche del disvalore ambientale della condotta e della posizione professionale rivestita dall’agente: il suo comportamento trasgressivo si deve considerare potenzialmente idoneo ad assurgere a modello diseducativo e disincentivante dal rispetto degli obblighi nell’ambito dell’azienda.

 

Un caso particolare: la violazione del diritto di esclusiva

Il diritto di esclusiva è disciplinato dall’art. 1743 c.c. secondo il quale l’agente non può assumere l’incarico di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza tra loro.

In caso di inosservanza del diritto di esclusiva da parte dell’agente, sussiste una giusta causa di recesso del preponente oltre che la possibilità per quest’ultimo di ottenere il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1218 c.c.

Sul punto, la Suprema Corte ha specificato che sussiste la violazione del diritto di esclusiva anche se le imprese si rivolgono solo potenzialmente alla stessa clientela. 

In sostanza, il divieto imposto all’agente dall’art. 1743 c.c. di trattare per lo stesso ramo gli affari di più imprese concorrenti tra loro non va necessariamente riferito alla produzione o commercializzazione di identici prodotti da parte di più imprese: è sufficiente che queste si rivolgano ad una clientela anche solo potenzialmente comune, sicché l’una possa ricevere danno dall’ingresso e dall’espansione dell’altra sul mercato cui entrambe si rivolgono o prevedibilmente si rivolgeranno. Si veda sul punto Cass. 30065/2019, secondo cui anche se i prodotti commercializzati dalle due aziende operanti nel settore edile erano diversi, essi potevano essere impiegati alternativamente per la realizzazione di manufatti: le due imprese erano, pertanto, da considerarsi in concorrenza tra loro.

Ai fini della violazione del divieto, inoltre, non è richiesto che il comportamento dell’agente si inscriva nell’ambito di un rapporto di stabile collaborazione con altra impresa, né che lo stesso abbia necessariamente determinato la conclusione di uno o più contratti fra un cliente anche solo potenziale del suo preponente e un’impresa concorrente di quest’ultimo: è sufficiente un’attività idonea a determinare un dirottamento della clientela del suo preponente presso imprese concorrenti, con possibile alterazione, a favore di queste ultime, in una stessa zona e in uno stesso ramo di affari, delle originarie condizioni della domanda di determinati prodotti (Cass. 5920/2002, relativa al caso dell’agente che aveva solo pubblicizzato, presso clienti del proprio preponente, beni prodotti da un concorrente di questi).

Infatti, la ratio del divieto, di cui all’art. 1743 c.c., consiste nell’impedire all’agente di favorire l’insorgenza o lo sviluppo di una attività concorrenziale a danno del suo preponente. La norma mira a scongiurare il pregiudizio che potrebbe derivare a quest’ultimo da un comportamento dell’agente idoneo ad incidere sull’orientamento di alcuni suoi clienti indirizzandoli verso i prodotti similari di imprese concorrenti.

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