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lunedì 22 ottobre 2007

Sabato entra in vigore la legge n. 123/2007 in tema di tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Lavoratori non in regola e violazioni su sicurezza e straordinari possono portare alla chiusura immediata dell’attività

Si profilano tempi duri per le imprese che ricorrono al lavoro sommerso o non rispettano le norme su tempi di lavoro e dei riposi o quelle in materia di sicurezza, poiché in caso di ispezione degli organi di controllo, rischiano la chiusura. Sabato 25 agosto entrerà, infatti, in vigore la legge 3 agosto n. 123, una legge di riforma in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro che consente, innanzitutto, l’avvio dell’iter per la predisposizione del Testo Unico, per il quale il Governo ha 9 mesi, ed una serie di misure immediatamente precettive. Tra queste, di particolare interesse è la norma che ha esteso a tutte le attività di qualsiasi settore (industria – commercio – turismo – servizi – agricoltura – spettacolo, etc…) l’istituto della sospensione dell’attività qualora venga riscontrato l’impiego di personale non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20% del totale dei lavoratori regolarmente occupati. La stessa situazione di blocco dell’attività potrebbe essere applicata nel caso di reiterare violazioni alla normativa sulla durata massima dell’orario di lavoro, sui riposi giornalieri e settimanali e qualora vengano accertate gravi e reiterate violazioni della disciplina in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.
Tale ipotesi, contenuta nell’art. 5 della nuova legge, può risultare particolarmente insidiosa per le piccole imprese con pochi dipendenti, e che hanno necessità di aumentare il personale normalmente impiegato in concomitanza dei periodi turistici o di maggiore afflusso di clientela, per lo più a seguito di particolari eventi o promozioni. Nel caso, per esempio, che un ispettore del lavoro procedesse ai normali controlli in un ristorante con cinque camerieri in regola e trovasse un lavoratore in nero, potrebbe legittimamente disporre la chiusura dell’attività. O ancora, se il titolare di un negozio facesse superare al proprio personale (ad esempio, durante le aperture prolungate nelle festività) in maniera reiterata i tempi di lavoro consentiti, o non avesse permesso ai dipendenti di godere dei dovuti riposi giornalieri o di quello settimanale, in caso di accertamento ispettivo potrebbe scattare la sospensione dell’attività.
L’inosservanza del provvedimento di sospensione comporta il reato di cui all’art. 650 del Cod. Penale, il quale prevede l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino ad euro 206 e l’eventuale sequestro dell’azienda. L’attività può riprendere solo dopo la revoca della sospensione.
“La nuova legge è mutata dalla regolamentazione stabilita più di un anno fa per il settore dell’edilizia per porre un freno alle situazioni di lavoro irregolare e violazioni in materia di salute e sicurezza dei lavoratori – commenta Andrea Gallo, direttore della Confcommercio di Vicenza – e poiché ha dato buoni risultati, il Parlamento, prima della pausa estiva, ha ritenuto utile estenderla a tutti gli altri comparti. Ma è evidente che la prevista soglia del 20 per cento, oltre alla quale l’imprenditore rischia la chiusura dell’attività qualora non rispetti la disciplina sul lavoro, è un limite estremamente penalizzante per imprese come quelle del commercio e del turismo che hanno, in media, pochi dipendenti.
Se un bar ha un dipendente e un altro lavoratore che sporadicamente va a dare una mano, nel caso di controllo, l’ispettore trova il 50 per cento di personale non formalizzato. Ora, pur partendo dal presupposto che i lavoratori vanno messi in regola, che esistono valide forme contrattuali per regolarizzare l’impiego di personale a seconda delle necessità aziendali, appare comunque estremamente penalizzante per un imprenditore dover sospendere immediatamente l’attività qualora sulla base di una constatazione sommaria l’ispettore sospetti delle irregolarità. Senza contare le perdite economiche per i mancati guadagni e tutte le spese necessarie per procedere alla revoca della sospensione dell’attività”.
Infatti, una volta disposta la sospensione dell’attività, per procedere alla revoca del provvedimento, l’ispettore stesso dovrà accertare, a seconda dei casi, la regolarizzazione dei lavoratori (per clandestini e minori basta la cessazione), il ripristino delle regolari condizioni di lavoro, e il pagamento di una sanzione amministrativa aggiuntiva pari ad un quinto delle sanzioni amministrative complessivamente irrogate. Va detto, inoltre, che la legge non prevede alcuna possibilità di ricorso in via amministrativa. Pertanto l’impresa che dovesse essere interessata da un eventuale provvedimento di sospensione sarà da considerarsi soggetto passivo di un provvedimento amministrativo definitivo dell’ispettore, verso cui sarà possibile ricorrere in via cautelare e d’urgenza al Tribunale Amministrativo Regionale, o con Ricorso Straordinario al Capo dello Stato.
“Anche questo aspetto – commenta Gallo – non va certo a favore delle aziende. In pratica, il funzionario addetto ai controlli può fin dal primo momento che mette piede in azienda, sulla base di una adeguata motivazione ma senza prove certe, sospendere l’attività; invece, le imprese colpite dal provvedimento, per poter ottenere la revoca e quindi riprendere in tempi brevi il proprio lavoro, dovranno regolarizzare il prima possibile la loro posizione pagando le varie somme previste e la sanzione aggiuntiva di 1/5 sull’ammontare delle sanzioni complessive, dopodichè fare ricorso agli organi preposti, quindi aspettare l’esito. Senza avere alcuna certezza né dei tempi, né dell’esito, ma solo dell’esborso cospicuo di euro per sanare la situazione, a cui vanno sommati i mancati guadagni derivanti dalla sospensione dell’attività.
E’ evidente – conclude il direttore Gallo – che se ciò dovesse capitare a una piccola impresa, la chiusura dell’attività da temporanea diventerebbe, con molta probabilità, definitiva”.


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