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venerdì 19 ottobre 2007

CANCELLAZIONE DEL LAVORO A CHIAMATA: UN GRAVE ERRORE

La cancellazione del lavoro a chiamata è una delle misure previste dal protocollo su previdenza, lavoro ed equità, presentato dal Governo alle parti sociali. Un testo ormai non emendabile, come ha sottolineato il ministro del Lavoro Cesare Damiano, ma sul quale la Confcommercio di Vicenza esprime tutto il proprio dissenso.
“Una parte del documento annuncia l’eliminazione dell’istituto del lavoro a chiamata, introdotto dalla Legge Biagi nel 2003 – dice il presidente Sergio Rebecca – con l’obiettivo, si dice, di combattere la precarietà del lavoro.
Noi crediamo, invece, soprattutto alla luce dei tanti rapporti di lavoro sorti nel comparto del commercio, del turismo e dei servizi proprio a seguito degli istituti contrattuali introdotti dalla legge Biagi, che sia più opportuno e vantaggioso, tanto per il lavoratori che per le imprese, sostenere la disciplina esistente, migliorandola sotto l’aspetto economico e normativo a favore dei lavoratori, che cancellarla e basta, come questo Governo intende fare”.
“Il lavoro a chiamata – continua Rebecca – dalla sua introduzione ad oggi si è rivelato infatti uno strumento idoneo a soddisfare le esigenze di flessibilità e discontinuità tipiche soprattutto dell’attività delle imprese del turismo e del commercio. Togliere questa possibilità di regolarizzare quei lavoratori in più, necessari a far fronte ai pericoli di punta, come quello estivo per gli alberghi e i bar, o quello di Natale per negozi e ristoranti, o i fine settimana per i pubblici esercizi in genere, significa fare un grosso passo all’indietro. E’ evidente, infatti, che le aziende impossibilitate ad affrontare i costi relativi ad una assunzione a tempo pieno o parziale di persone che non verrà pienamente e stabilmente utilizzato, rinunceranno ad assumere; e che studenti, casalinghe, pensionati o i giovani in genere, con la volontà di lavorare, seppur in tempi per loro compatibili, avranno maggiori difficoltà a trovare un’occupazione regolare. Le imprese, invece, che per mantenere lo standard di servizio a cui hanno abituato la clientela saranno costrette a fare i conti con l’innalzamento dei costi per il personale, inevitabilmente trasferiranno in tutto o in parte la maggior spesa sui propri listini finali.
Non si capisce bene, allora, quale sia il vantaggio di togliere un istituto contrattuale utile ed apprezzato dai comparti del commercio e del turismo, settore, che meriterebbe, invece, un’adeguata attenzione da parte del Governo, proprio per i margini di crescita occupazionale che ancora può esprimere”.
E che il contratto di lavoro a chiamata sia uno strumento apprezzato dalle piccole e medie imprese del terziario vicentine lo si nota anche da dati stessi della Confcommercio berica: circa il 35% delle aziende associate ha in essere o si è servita dal contratto di lavoro a chiamata; la percentuale sale poi al 40% quando si tratta di zone turistiche.
Per questi motivi la Confcommercio Vicenza, nell’esprimere tutta la contrarietà alla cancellazione di tale istituto contrattuale, si è già attivata presso la Confederazione nazionale, la FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi) e la Federalberghi affinchè si faccia tutto il possibile per mantenere, almeno nei settori del commercio, del turismo e dei servizi, la possibilità per le aziende di ricorrere anche per il futuro al lavoro a chiamata.

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