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Confcommercio Veneto Notizie

DISTRIBUZIONE CARBURANTI: IL MODELLO ITALIANO FUNZIONA

Nr. 22 del 5/12/2005

Il modello italiano costituito da una rete capillare nella distribuzione dei carburanti con tipologie differenziate di servizi e prezzi è ancora un modello vincente. A dichiararlo è Luca Squeri, presidente nazionale di Figisc-Confcommercio, la Federazione italiana gestori impianti stradali carburanti, commentando i dati del dossier che fotografa la situazione del settore in Italia, confrontata con quella di altri paesi, presentato dalla Federazione a Roma il 15 novembre 2005 nel corso della tavola rotonda sul tema “La distribuzione carburanti: il modello italiano”.
“Considerando le diverse esigenze che caratterizzano le aspettative degli automobilisti italiani- interviene Squeri- l’attuale sistema della rete italiana che presenta una marcata capillarità territoriale, un’ampia scelta tra opportunità di prezzo e di servizio e la professionalità della categoria per i servizi accessori dedicati al mezzo, è senz’altro preferibile alla realizzazione di una rete scarna ed essenziale, sul modello anglosassone o francese, che provocherebbe inevitabilmente una serie di gravi problemi”. Prima fra questi la desertificazione della rete nelle aree marginali territoriali con disagi notevoli per gli utenti, ma anche la riduzione delle opzioni di scelta del consumatore e la perdita di trasparenza del prezzo.
Nel convegno si è discusso anche della recente decisione della UE di aprire, sotto la spinta di alcuni settori della grande distribuzione organizzata, una procedura di infrazione sulla rete di distribuzione dei carburanti in Italia: sotto accusa l’attuale normativa nazionale che impedirebbe l’apertura delle pompe di benzina nella grande distribuzione, agendo sulla disciplina degli orari, delle distanze e delle procedure amministrative. Una tesi però contestata anche dal presidente dell’Unione petrolifera, Pasquale De Vita, secondo il quale non ci sono preclusioni all’apertura di nuovi impianti nella Gdo, come del resto è già avvenuto in questi anni, a patto che si rispettino le regole e non si pretenda un regime normativo specifico e agevolato.
Lo studio della Figisc - Confcommercio fornisce un quadro del settore che può contare complessivamente su poco più di 22.000 impianti di distribuzione, oltre 70mila addetti tra gestori e personale dipendente e più di 23 miliardi di tasse raccolte nel 2004 sui carburanti. Risulta inoltre evidente la capillarità territoriale della rete italiana, con un impianto ogni 13,4 chilometri quadrati contro, ad esempio, i 37,3 della Francia o, addirittura, i 59,4 della Spagna; la possibilità che il consumatore ha di scegliere fra impianti serviti e “fai da te”, con diversificazione dei marchi e sconti di prezzo che arrivano fino a 0,06 euro, e la possibilità infine di servizi accessori molto apprezzati come le riparazioni minute o i lavaggi.
Per quanto riguarda il fattore prezzo, dal dossier emerge che quelli praticati alla pompa nel mercato italiano non sono affatto i più alti nell’ambito dell’Unione Europea: per la benzina, l’Italia si colloca al quarto posto, mentre per il gasolio è al secondo posto. Il dato è ovviamente influenzato dalla fiscalità che pesa sul prodotto: nel periodo gennaio-ottobre 2005 la somma di accise ed imposta sul valore aggiunto risulta superiore alla media dell’Unione (0,762 euro/litro ed il 63,18% sul prezzo della benzina; 0,591 euro/litro ed il 54,17% sul prezzo del gasolio).
“Il modello italiano può certamente essere migliorato- continua Squeri- accelerando la modernizzazione della rete sia con interventi di carattere strutturale sia con un incremento della presenza dell’attività non oil da affidare ai gestori. Negli ultimi 25 anni in Italia c’è stato un decremento, analogamente a quanto avvenuto negli altri paesi europei, del numero degli impianti (passati da 39.300 agli attuali 22.200) ma non illudiamoci che la grande distribuzione possa calmierare il prezzo e garantire risparmi durevoli ai consumatori. La vera questione riguardo ai prezzi -conclude Squeri- è agire sulla leva fiscale per ridurre il peso delle accise e l’imposta sul valore aggiunto; una struttura della rete meno capillare e una selfizzazione spinta, sul modello francese, potrebbe comportare una riduzione dei costi logistici e gestionali ma in termini di prezzo finale i risparmi sarebbero modesti, e non si garantirebbe in ultima analisi l’interesse generale nemmeno del consumatore, che oltre al prezzo ha dimostrato di apprezzare la qualità del servizio dell’attuale rete, la professionalità dei gestori e una presenza diffusa nel territorio delle stazioni di servizio”.

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