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Confcommercio Veneto Notizie

PENSIONI: SERVONO PROPOSTE CHIARE

Nr. 16 del 09/09/2003

Il tema registra ogni giorno qualche novità. Per Confcommercio impensabile l’ipotesi di un aumento dei contributi per i lavoratori autonomi. La riforma necessita di verifica sull’effettivo risparmio

Pensioni: l’estate ha portato nuove proposte fra tanti fuochi di artificio e altrettante polemiche, anche se finora resta un nulla di fatto su una riforma epocale, più volte annunciata ma tuttora ferma alle intenzioni e alle dispute politiche.
La proposta più recente e più significativa è indubbiamente quella venuta dal presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Il premier, al termine di un vertice della Cdl sulle riforme, ha parlato testualmente di «proposta di riforma strutturale» da presentare «entro la prossima Finanziaria». «Ce lo chiede l’Europa ce lo richiedono i conti - ha detto il capo del governo - . Si è gettato un sasso nello stagno e sono venute fuori varie posizioni che ci servono per mettere a punto una proposta conclusiva alla quale non ci sottrarremo proprio per dar luogo non a una tantum ma a una riforma necessaria che dovrà mantenere i suoi effetti e dare i suoi risultati ogni anno a ogni legge finanziaria».
L’idea, come ha confermato anche il ministro del lavoro Maroni, sarebbe quella di non stravolgere il sistema pensionistico ma di garantirne la sostenibilità finanziaria fino all’entrata a regime della riforma Dini. Non, dunque, un «patto fra generazioni», ma, per il momento, l’inserimento di un bonus fino al 32,7 per cento (al lordo delle tasse, s’intende) nella busta-paga del dipendente che decide di restare in servizio pur avendo raggiunto i limiti di età per andare in quiescenza. La proposta, ovviamente, ha incassato i consensi della maggioranza, mentre da parte dei sindacati sono venuti distinguo e opposizioni. La Cisl e la Cgil hanno fatto sapere di essere contrarie a riforme o a tentativi tesi solo a «fare cassa», e, comunque, a ipotesi di modifica del sistema che siano diverse da quelle di aumentare gli incentivi economici a chi decide, pur avendo i requisiti per la pensione di anzianità, di continuare a lavorare.
Tutto, peraltro, non si discosta, come detto, dalla teoria. E’ ancora da decidere non solo in che modo la proposta si sostanzierebbe sul piano tecnico, (anche se pare che il super-incentivo dovrebbe essere agganciato al blocco dell’anzianità) ma anche quale dovrebbe essere lo strumento da utilizzare per una riforma del sistema previdenziale.
Ed è per questo che il commento della Confcommercio è stato piuttosto laconico: «E’ giusto avanzare proposte ma è bene evitare fuochi di paglia». Fra l’altro la proposta ha lasciato perplessi gli imprenditori, e non perché la quota degli incentivi da aggiungere agli stipendi andrebbe a ricadere sulle aziende (a sborsare sarebbe solo l’Inps) ma perché molte imprese non hanno alcun interesse a mantenere in organico personale avanti negli anni, ritenuto meno conveniente dei più giovani sotto l’aspetto della produttività.
Ma per la Confcommercio i punti da chiarire sarebbero molti. Il primo è di verificare l’effettivo risparmio (che potrebbe essere molto relativo, visto che a caricarsi gli oneri sarebbe, appunto, l’Inps) di questa mini-riforma sulla spesa pensionistica. Il secondo è che, se a decidere sulla permanenza nel posto di lavoro fossero gli stessi lavoratori (come vorrebbero i sindacati), le aziende sarebbero costrette a mantenere sul libro-paga persone che, magari, manderebbero volentieri a casa. Il terzo è di capire come una riforma del genere si possa conciliare con la tendenza di numerose aziende a utilizzare lo strumento del prepensionamento. «Sarebbe un vero paradosso - fa osservare la Confcommercio - che un’azienda fosse costretta da una parte a tenersi un sessantenne che chiede di restare nel proprio posto di lavoro, e dall’altra a lasciare a casa un cinquantenne».
Necessitano, quindi, molte verifiche dirette sul campo, e l’invito dell’associazione è, perciò, quello che il governo, prima di allargare ancora il dibattito e di iniziare il giro di consultazioni con le parti sociali, di formulare una proposta chiara e dettagliata. Anche perché - sottolinea il presidente Sergio Rebecca - «la baraonda mediatica che si è sviluppata da tempo sull’argomento produce solo confusione e aumenta l’incertezza».
La questione continua, comunque, a registrare ogni giorno qualche novità, e l’ultima, in ordine di tempo, a spuntare, è stata l’ipotesi - assieme a quelle dell’uso del Tfr per la previdenza integrativa e al semi-blocco delle anzianità con la riduzione delle finestre di uscita da quattro a due - anche di un cospicuo aumento dell’aliquota contributiva di autonomi e parasubordinati (che - sembra - garantirebbe un introito di 700-800 milioni di euro). Un’ipotesi, questa, che ha provocato la dura reazione del presidente nazionale Sergio Billè. «E’ una proposta - ha detto - che non sta né in cielo né in terra. Gli autonomi stanno già facendo i conti con il progressivo aumento della contribuzione che si basa su criteri di calcolo assai più severi di quelli adottati per altre categorie di lavoratori. Inoltre, a differenza di altri, non solo pagano di tasca propria le pensioni ma contribuiscono a coprire il largo deficit di altre gestioni. E, poi, non si vede la ragione per cui si dovrebbero improvvisamente ribaltare i criteri della legge-delega che si trova ora in Parlamento. Non è proprio il caso - ha concluso - di continuare con queste operazioni di plateale depistaggio che non concludono nulla ai fini di una vera riforma».
Franco Pepe

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