COMMERCIO, UNA RIFORMA INCOMPIUTA
Nr. 10 del 20/05/2002
La situazione a quasi quattro anni dall’emanazione del decreto Bersani
Un’indagine della Confederazione nazionale mette in luce i ritardi dei Comuni nell’amanare i piani di attuazione
Sono passati quasi quattro anni dall’emanazione del decreto Bersani che, come un fulmine a ciel sereno, modificò la disciplina del commercio, eliminando di punto in bianco le licenze, dividendo il settore in alimentare e non alimentare, cancellando l’iscrizione al Rec per la stragrande maggioranza degli operatori commerciali; togliendo, cioè, i capisaldi di un sistema che certamente dava segnali di affanno, ma che funzionava senza grossi intoppi.
«Un vero e proprio blitz, che il governo realizza con sconcertante decisionismo, senza aver predisposto una adeguata politica di sviluppo delle piccole e medie imprese», così la Confcommercio definì il decreto n. 114 del 1998 all’indomani della sua emanazione. Un provvedimento che, per i sostenitori della riforma, aveva invece per obiettivo la liberalizzazione del settore, con benefici per tutti sia per l’effetto calmierante sui prezzi, sia per quello di creazione di nuovi posti di lavoro dipendente.
Dopo quattro anni di «applicazione pratica» del decreto Bersani , siamo di nuovo di fronte ad un momento cruciale: si attende a breve, infatti, l’emanazione di una nuova legge regionale del settore che corregga alcuni aspetti della precedente, rispondendo così appieno alle esigenze del commercio. Nel frattempo però, il dato più preoccupante viene dalle amministrazioni locali perché, come ha evidenziato una ricerca Confcommercio, solo il 51% dei comuni interessati dall’indagine ha provveduto a fare quanto di loro competenza. Anche se, rispetto alla situazione nazionale, il Nordest si trova già in una situazione migliore (quasi il 77% dei comuni ha predisposto i piani attuativi) c’è comunque da riflettere sul perché di questo ritardo, non sempre imputabile alla cattiva volontà delle pubbliche amministrazioni.
Ma andiamo con ordine. L’attuazione pratica del cambiamento di regole per il settore definite dal «decreto Bersani» era stata delegata, con lo stesso decreto, alle Regioni e ai Comuni. Alle prime era stato affidato il compito di stabilire gli indirizzi generali per l’insediamento delle attività commerciali, nonché di fissare i criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale. Ai Comuni, invece, quello di adeguare gli strumenti urbanistici ed i regolamenti di polizia locale agli indirizzi regionali, individuando, ad esempio: le aree da destinare agli insediamenti commerciali; i limiti ai quali sono sottoposti tali insediamenti; i criteri per il rilascio delle autorizzazioni per l’apertura e molto altro ancora.
La Regione Veneto è stata tra le prime in Italia a fissare le norme di programmazione per l’insediamento delle attività commerciali, in diretta esecuzione del Decreto legislativo n.114/98. Nel 1999 è stata infatti emanata la Legge Regionale n. 37 che ha stabilito una serie di criteri e principi per il rilascio delle autorizzazioni alle grandi strutture di vendita e per la formulazione dei regolamenti comunali relativi alle medie strutture, quelle cioè comprese tra i 150 e 1.500 metri quadrati. Ora, la prima fase della programmazione è scaduta il 10 agosto 2001, anche se ad oggi la regolamentazione resta valida e rimarrà in vigore fino all’approvazione della nuova legge regionale in materia. E proprio a questo proposito, e visto che i nuovi criteri programmatori sembrano in dirittura d’arrivo, Confcommercio ha in più occasioni chiesto ai rappresentanti regionali di focalizzare l’attenzione su quattro aspetti fondamentali che, prendendo come base quanto già delineato con la L.R. 37, permettano di correggere il tiro nella giusta direzione. Il primo riguarda il legame tra programmazione urbanistica e programmazione commerciale: secondo Confcommercio, non si può pensare ad una crescita urbanistica che prescinda da un’attenta programmazione commerciale e viceversa; il secondo, la richiesta di una maggiore articolazione merceologica che elimini le distorsioni prodotte dalla suddivisione del comparto in due soli settori merceologici (alimentare e non alimentare); terzo aspetto, la suddivisione del territorio regionale in zone omogenee, che potremo definire «distretti commerciali», ai quali applicare una specifica programmazione di strutture e attività commerciali compatibili con le prospettive di sviluppo; da ultima, la necessità di accertare la scrupolosa applicazione e osservanza delle regole stabilite. Se si sottovalutano questi aspetti, sottolinea la Confcommercio, vengono a mancare adeguati strumenti di programmazione sovraterritoriali, con il rischio di una scomparsa del servizio di vicinato nelle aree più svantaggiate, e ciò a causa dell’affermarsi di pericolose competizioni tra comuni confinanti.
Certo alcuni effetti positivi la legge regionale 37 li ha avuti: in primo luogo è evidente che essa ha di fatto limitato la nascita delle grandi strutture di vendita, poiché la crescita delle stesse in termini di superficie è stata ristretta al 3% all’anno. Prima della legge 37 le grandi strutture occupavano una superficie complessiva di circa 950.000 metri quadrati, portando il Veneto in testa alle classifiche riguardanti i super e gli ipermercati (68,5% sulla superficie totale di vendita del totale degli esercizi commerciali).
Il primato valeva, e vale tuttora, anche per quanto riguarda la quota di mercato delle grandi strutture di vendita (74,3% , fonte: elaborazione su dati Ministero dell’Industria), traguardo questo raggiunto a scapito della rete distributiva di tipo tradizionale che negli anni ha invece visto parallelamente diminuire il numero dei propri esercizi.
Per quanto riguarda, invece, l’attuazione delle competenze assegnate ai comuni dal decreto Bersani sulla riforma del commercio, allo stato attuale, in base alla ricerca effettuata dalla Confcommercio nazionale, risulta che soltanto la metà di essi ha provveduto ad adempiere agli obblighi relativi. Solo il 51% ha infatti predisposto il piano di attuazione, mentre per il 12,5 % , il piano è in via di definizione, il rimanente 35% non ha ancora provveduto e questo. Non sempre ciò è dipeso dalla mancata attivazione delle amministrazioni comunali: in diversi casi, soprattutto nel centro-nord, la mancanza di piani attuativi deve essere messa in relazione con l’esistenza di normative regionali direttamente incidenti sugli strumenti urbanistici comunali.
Si è inoltre registrata una certa propensione delle amministrazioni comunali a regolamentare lo sviluppo delle medie strutture di vendita mediante la fissazione di limiti quantitativi. Le regioni dove questo aspetto prevale in assoluto sono quelle del Sud, con oltre il 57% dei comuni campionati, seguite da quelle del Nord-est, con più del 47%, e da quasi il 44% delle regioni centrali. Il Nord-ovest, con il 40%, sembra essere l’area meno sensibile all’esigenza di porre limiti allo sviluppo delle medie strutture.
Un altro aspetto che vale la pena evidenziare è il fatto che il Nord-est è l’area territoriale dove è assolutamente prevalente il criterio della non discrezionalità nel rilascio delle autorizzazioni per le medie strutture: il 71% dei comuni dell’area, infatti, non sottopone il rilascio delle autorizzazioni a criteri economici (equilibrio domanda-offerta), urbanistici, viabilistici, sociali, territoriali o ambientali, commerciale (impatto sulla rete distributiva preesistente). Un elemento, questo, che deve far riflettere. Nel Veneto e nel Vicentino in particolare, invece, si concentrano alcuni dei casi, per altro limitati sul territorio nazionale, in cui i comuni si sono avvalsi dell’articolo 10 del Decreto Bersani, che attribuisce alle amministrazioni locali particolari poteri in relazione alla localizzazione e alla apertura degli esercizi di vendita nei centri storici, al fine di rendere compatibili i servizi commerciali con le funzioni territoriali in ordine alla viabilità, alla mobilità dei consumatori e all’arredo urbano, utilizzando anche specifiche misure di agevolazione tributaria e di sostegno finanziario. L’indagine rileva come questo tipo di intervento abbia interessato, a livello nazionale, una quota non molto significativa di comuni, nello specifico 22 su 80 (il 27,5%), tra questi Vicenza, Bassano del Grappa, Valdagno, Verona, Villafranca di Verona, Belluno.
I dati sul Nord-est provenienti dalla ricerca Confcommercio, tra l’altro, confermano un precedente studio realizzato nel Vicentino dall’Ister, l’Istituto per il terziario della Confcommercio provinciale. In questo caso si era rilevato come più del 70% dei comuni più popolosi (centri con abitanti compresi tra le 15 e le 30 mila unità) avevano già adottato i criteri di programmazione, mentre gli altri era già in avanzata fase di consultazione e predisposizione, un dato che scendeva sensibilmente nei comuni tra i 10 e i 15 mila abitanti. La situazione più critica veniva registrata invece nei piccoli comuni (soprattutto sotto i 3 mila abitanti). L’analisi della ricerca aveva messo in luce che le difficoltà nascevano dallo spiegamento di forze necessario per realizzare la pianificazione commerciale secondo i dettami della legge regionale 37. Chiaro che la prossima emanazione della nuova legge regionale in materia dovrà tener conto anche di queste oggettive difficoltà che, tra l’altro, colpiscono aree già di per sé disagiate dal punto di vista dell’offerta commerciale e di servizi al cittadino, condizioni essenziali, queste, per mantenere la qualità della vita su standard accettabili.
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