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martedì 03 giugno 2003

DIRE NO PER NON BLOCCARE L’ECONOMIA

Il rischio è di frenare drasticamente la crescita delle Pmi
Il 15 giugno il referendum sull’estensione dell’art.18

Referendum popolare sull’estensione dell’applicabilità dell’art.18. La Confcommercio conferma il no secco e deciso e continua una lotta a tutto campo contro lo schieramento del sì. “Un responso positivo – dice il Presidente Sergio Rebecca - potrebbe minare alle radici tutto quel sistema di piccole imprese che costituisce da sempre l’asso nella manica dell’Azienda Italia. Estendere l’obbligo della reintegra significherebbe penalizzare una delle principali risorse per il rilancio dell’economia. La piccola azienda sarebbe costretta a esborsi che inciderebbero notevolmente sui bilanci aziendali e potrebbero vanificare le riforme che il Governo sta cercando di attuare. Lavoro nero e precariato continuerebbero a proliferare e le conseguenze sarebbero pesanti per l’occupazione”.
Assieme a tutte le altre sigle che hanno aderito al Comitato per il no, l’Associazione ha perciò partecipato a una maxi-campagna pubblicitaria estesa a 101 capoluoghi di provincia, in cui le ragioni del no sono apparse, con una sorta di copertura globale, su oltre 10 mila impianti di affissione. In pratica è proseguita la grande mobilitazione culminata, nel marzo scorso, con le 13 tappe del “no-day” e con il “viaggio” iniziato a Pavia e concluso a Milano.
Rebecca parte da una premessa, che è anche una pregiudiziale al quesito referendario: “Si è fatto tanto rumore sull’art. 18 e ci si è dimenticati di affrontare quella che resta la questione prioritaria. Senza un mercato del lavoro efficiente, che sappia conciliare diffusione e flessibilità, non si va in nessuna parte. Difendere per ragioni di bottega politica un sistema antiquato, antistorico e sterile di tutele rigide, significa fare del nostro un Paese arretrato, con il pericolo di rimanere esclusi dai processi europei di sviluppo, proprio in un momento in cui l’Europa, con l’ingresso di nuovi Paesi, diventa più grande. Si rischia di perdere un appuntamento decisivo”.
Ma – secondo Rebecca - il problema innescato da una proposta referendaria giudicata “inutile e dannosa” è anche un altro. “Sì – spiega – si è creato un clima rissoso, che sta facendo trascurare le questioni reali tuttora sul tappeto. Ci sarebbe bisogno di concordia, non di veleni. La prova? Tutti i sondaggi insistono su un punto: i consumi delle famiglie continuano a stagnare, proprio perché manca ancora la fiducia in una effettiva ripresa dell’economia. Se vogliamo veramente la ripresa, affrontiamo una volta per tutte i veri problemi del mercato del lavoro. E perché no? Prendiamo in mano lo statuto dei lavoratori. E’ uno strumento nato in tempi e in condizioni storiche e sociali completamente diversi da oggi”.
Dopo il “no-day” di marzo, la Confcommercio scende in campo con cinque slogan che sintetizzano le ragioni del no. Se vince il sì – questo il senso comune degli slogan apparsi nei manifesti che hanno invaso le città italiane – il lavoro si blocca. Si torna indietro. Si aprono le porte alla disoccupazione. “Chi vuole più lavoro – osserva Rebecca - non può che dire no. Da una parte c’è un’Italia che rincorre metodi vecchi e superati. Dall’altra c’è un’Italia che vuole andare assolutamente avanti”.
Intanto, dai sondaggi delle ultime settimane, risulterebbe che al referendum in programma il 15 giugno andrebbe a votare solo il 30 per cento degli elettori. L’astensione, cioè, dovrebbe far fallire una consultazione per la quale sono in molti, fra tutte le forze politiche di ogni colore, a continuare a privilegiare l’iniziativa legislativa del Parlamento per rivedere tutta la materia, dagli ammortizzatori sociali per le imprese alla ridefinizione dei diritti e delle garanzie per ogni tipo di lavoratore, dalle misure fiscali e creditizie alle risorse necessarie per aumentare la competitività dell’impresa minore nell’epoca dell’economia globale e diffusa.

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