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martedì 25 luglio 2006

PANIFICI: LA LIBERALIZZAZIONE? UN BOOMERANG PER I CONSUMATORI

“Il decreto Bersani? Un boomerang. A farne le spese, infatti, più che i panificatori saranno i consumatori, che, stando così la norma, rischiano di non distinguere più il pane fresco e di qualità da prodotti, ad esempio, pre-surgelati; e i panifici veri e propri, vale a dire chi il pane lo fa partendo da farina acqua e lievito, da chi invece si limita a cuocere un prodotto industriale”. Antonio Cristofani, presidente dell’Associazione Provinciale Panificatori –Confcommercio non ha dubbi su quali possono essere gli influssi del decreto Bersani sul settore. Un decreto di cui l’associazione, precisa “non condivide contenuti e metodo e che nasce senza un’adeguata concertazione con le categorie”. A questo proposito, il presidente dell’associazione vicentina, sentito anche il consiglio per capire le conseguenze del decreto sul territorio, si è subito messo in contatto con i vertici nazionali della categoria per suggerire alcuni correttivi in grado di salvare non tanto presunti “privilegi”, quanto piuttosto gli aspetti qualitativi di un prodotto base per l’alimentazione. “Preoccupati per la maggiore facilità di aprire panifici concessa dal decreto? Non è questo il punto – precisa Cristofani -. Certo il controllo preventivo della Camera di Commercio permetteva a tutti gli effetti una valutazione dei requisiti professionali e tecnici secondo noi essenziale per un settore così importante. Ora invece basta una denuncia di inizio attività. Un po’ poco, a mio avviso, per chi fa un prodotto così importante per l’alimentazione di tutti”. Per dire che fare pane non è cosa banale. Un po’ più di attenzione alla professionalità di chi si mette davanti al forno ci vorrebbe.
Quali allora le controproposte di Confcommercio per cambiare il decreto Bersani? “Il nostro obiettivo – spiega il presidente Cristofani – è quello di fare chiarezza sul settore.
Per esempio: la denominazione “panificio”, a nostro avviso, va riservata esclusivamente a quelle imprese che svolgono nel loro laboratorio l’intero ciclo di produzione del pane, a cominciare dalla miscelazione della materie prime fino alla cottura finale”. Anche sulla denominazione “pane fresco”, Cristofani chiede maggiore tutela. “Va riservata a nostro avviso – dice – solo al pane prodotto con un processo di lavorazione continuo”. Stop, quindi, a chi vende per “fresco” del pane che ha subito interruzioni nel processo di lavorazione per congelamento, surgelazione o conservazione delle materie prime. “E’ una questione di qualità – ribadisce Antonio Cristofani -. Se uno vuole mangiare pane fresco deve sapere dove comprarlo e deve anche poterlo individuare, per esempio, tra gli scaffali delle rivendite, dove talvolta regna la più totale confusione, con un prodotto fresco mischiato a un prodotto pre-surgelato”.
Una maggiore sensibilità alla qualità del prodotto, il presidente dell’Associazione provinciale panificatori la chiede però anche ai consumatori: “Il fatto che una pagnotta sia, al momento dell’acquisto, calda e fragrante non garantisce che sia di qualità. Un esempio? Noi per preparare una partita di pane ci mettiamo venti ore, nella produzione industriale ne impiegano due. E la differenza si sente tutta a livello di gusto: un po’ come mangiare un frutto appena colto dall’albero al giusto grado di maturazione e uno che invece si è maturato in cassetta. L’aspetto è lo stesso, ma il sapore è ben diverso”. Insomma, anche quando si compra il pane bisogna saper andare oltre le apparenze.
Nel frattempo i panificatori vicentini attendono il testo definitivo della legge di liberalizzazione del settore. In questo senso l’Ascom di Vicenza sta seguendo, in stretto contatto con l’Assipan, l’associazione di categoria nazionale, l’evolversi della materia, vale a dire i vari emendamenti, elaborati anche su suggerimento proprio di Confcommercio.


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