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lunedì 12 dicembre 2011

“LA LIBERALIZZAZIONE DI ORARI
E APERTURE FESTIVE E’ INSOSTENIBILE
PER LE NOSTRE IMPRESE”
Notizia del 8 dicembre 2011

“Cosa c’entra la liberalizzazione degli orari dei negozi e l’apertura indiscriminata anche nei giorni di festa con la necessità di salvare l’Italia? Su questo aspetto la scelta del Governo Monti, inserita nella Manovra battezzata, appunto, “Salva Italia” è incomprensibile e metterà in ginocchio moltissime di imprese del commercio, anche nella nostra provincia”. Sergio Rebecca, presidente della Confcommercio di Vicenza e vicepresidente nazionale della Confederazione, è preoccupato dei riflessi sul settore del Decreto appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale che fa “saltare” i limiti di orari e gli obblighi di chiusura per gli esercizi commerciali. “Questo provvedimento va esattamente nella direzione opposta alla necessità di sviluppo del nostro Paese – rincara il presidente Rebecca -. Se pensiamo ad esempio che, facendo una proiezione in base ai dati delle nostre 12mila imprese associate, nel Vicentino più del 60% delle aziende del terziario di mercato sono gestite direttamente dal titolare, senza dipendenti, è ovvio chiedersi come potranno, queste famiglie, tenere aperto sempre e comunque e tenere i ritmi di lavoro della Gdo. E se allarghiamo la forbice alle imprese fino a due dipendenti, queste rappresentano l’80 del totale – continua Rebecca -: come si adegueranno alla normativa? Di certo non possono abolire i riposi o imporre turni massacranti. E’ chiaro che, anche se del Governo fa parte ora il professor Antonio Catricalà, già “garante” della concorrenza e del mercato, con quattro righe su un decreto hanno di fatto creato un incolmabile vantaggio competitivo solo per la grande distribuzione organizzata e ciò in un momento di reale recessione dei consumi. Forse il Governo pensa, con questa mossa, che le nostre aziende saranno obbligate ad assumere personale e quindi a creare occupazione – spiega Rebecca -, ma è facile prevedere, soprattutto in un contesto di crisi, che in pochi potranno permetterselo e che, invece, saranno in molti a chiudere”.
C’è un altro aspetto di questa liberalizzazione che il presidente Rebecca vuole sottolineare, le conseguenze per i centri storici, i paesi e i quartieri. “Il cuore commerciale delle nostre città è fatto principalmente di piccoli negozi e pubblici esercizi, e così è anche nei comuni e nei quartieri, dove il servizio di vicinato è appannaggio della bottega di prossimità. A tutto ciò si contrappongono le “cittadelle artificiali” della grande distribuzione, collocate principalmente nelle grandi direttrici di traffico. Se penalizziamo i primi a tutto vantaggio dei secondi – afferma Rebecca -, la conseguenza sarà ancor più una polarizzazione del commercio nei contesti periferici e uno svuotamento dei centri storici: una grande perdita in termini di servizio, soprattutto per una popolazione sempre più anziana e a ridotta mobilità, ma anche in termini di qualità del tessuto urbano e di appetibilità in termini  turistici”.
Sembra però - questa almeno è la tesi del Governo - che la cancellazione dei limiti su orari e aperture festive sia una scelta obbligata per armonizzare la normativa italiana a quella degli altri Paesi europei, “ma non è affatto così – conclude il presidente Rebecca -. In Francia e Germania i limiti ci sono e una totale deregulation su questo tema non è per nulla diffusa in Europa. E’ un’incongruenza, così come è contraddittorio il fatto che questo Governo, al suo insediamento, abbia posto l’accento sulla valorizzazione della donna e poi faccia passare questo provvedimento in uno dei pochi settori dove l’occupazione femminile è più alta in assoluto, basti pensare che nelle imprese vicentine del commercio al dettaglio rappresenta quasi il 70%  degli occupati. E’ facile immaginare le conseguenti forti ripercussioni che la liberalizzazione di orari e aperture avrà sulla conciliazione tra i tempi di lavoro e quelli da dedicare alla famiglia. Non dimentichiamo che il riposo festivo è stata una grande conquista di civiltà: gli imprenditori e i dipendenti del terziario non possono accettare un imbarbarimento delle condizioni di vita e di lavoro in un settore che dovrebbe, invece, costituire il fulcro del rilancio economico e sociale del nostro Paese”.
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